domenica 27 maggio 2012

Lettera dal Brasile n.6


“Quando a gente nasce, não escolhe nada, nasce por acaso. Eu não nasci aqui, escolhi esse lugar para viver. Por isso, o Brasil é meu país duas vezes, é minha 'Pátria de Escolha', e eu me sinto cidadã de todas as cidades". Lina Bo Bardi



 
Lina Bo Bardi scriveva le sue lettere dal Brasile, da quello che era il suo paese due volte: era la patria scelta. 


Io ho scelto di viverci solo per un po’ ed ora ritorno nel mio - al mio cielo, alla mia terra, ai miei orizzonti - portando con me solo bei ricordi e con la speranza di tornare. 

domenica 20 maggio 2012

Lettera dal Brasile n.5

P. Mendes da Rocha-METRO, Galeria Nova Leme
  
Il barrio di Butantã, come tutta São Paulo, possiede molte realtà differenti. Lasciata la zona della stazione metropolitana e dirigendosi verso la Marginal Pinheiros – una delle due avenidas che costeggiano i fiumi che delimitavano in passato la città – si attraversa Avenida Valdemar Ferreira, una strada del tutto anonima, animata solo da un frequentato boteco.
Proprio per il suo carattere anonimo, non si può non notare una costruzione di limitata dimensione, costituita da due blocchi in cemento armato, completamente chiusi verso la strada e collegati da un ponte, sempre in cemento, ma rivestito con una rete metallica che consente di osservare l’intorno.

P. Mendes da Rocha-METRO, Galeria Nova Leme



P. Mendes da Rocha-METRO, Galeria Nova Leme
E’ la Nova Galeria Leme, progettata da Paulo Mendes da Rocha e dallo studio METRO. “Nova” perché la precedente, realizzata dagli stessi architetti, è stata demolita nel 2011, a sette anni di distanza dalla sua apertura. 
P. Mendes da Rocha - METRO, Galeria Nova Leme

O urbanista de SP é o capital” si legge lungo la strada che collega i due studi di architettura, quasi a ricordare loro la triste realtà in cui verte la città e forse nel tentativo di scoraggiare chi tenta di fare una buona architettura.
Neanche un edificio progettato da un Pritzker Price – premio conferito per la seconda volta ad un architetto brasiliano, la prima fu assegnato ad Oscar Niemeyer – può fermare l’edilizia paulistana.

P. Mendes da Rocha - METRO, Galeria Leme
La Nova Leme, purtroppo, ricorda molto il progetto precedente, ma non lo supera. Quest’ultimo era un volume unico, estremamente chiuso e sempre in calcestruzzo a faccia vista; era semplice, essenziale e di estrema raffinatezza.

Lasciata la Galleria, percorsa Avenida Ferreira e superata Praça Vincente Rodrigues il bairro inizia a mutare aspetto: non più strade ampie e palazzoni, ma ville unifamiliari alle quali si accede da strade alberate e ben curate.

Vilanova Artigas, Casa Baeta
Imbocco Rua Gaspar Moreira in cerca della Casa Baeta progettata da Vilanova Artigas nel 1957 e restaurata nel 1998 dall’architetto Angelo Bucci. Riconoscerla non è facile poiché, come tutte le altre, ha un alto muro che ne impedisce la vista. Chiedo ad una signora e lei, ignorandone l’esistenza, mi dà indicazioni per un’altra casa, descrivendola come “a casa muito fechada!”.

La signora non conosceva la casa di Artigas, ma sapeva perfettamente indicarmi la residenza di Paulo Mendes da Rocha, probabilmente non perché ne riconoscesse la bellezza architettonica, ma, piuttosto, per aver notato l’estraneità di quella costruzione rispetto a tutte le altre.
P. Mendes da Rocha,Casa dell'architetto

Intonacate le une, totalmente priva di rifinitura l’altra, con giardini curati le prime, immersa nella vegetazione spontanea la seconda, ma, soprattutto, tutte sono cinte da alti muri, mentre la residência P. M. da Rocha e Lina C. S. è “aperta”, como quer a Escola paulista.
P. Mendes da Rocha,Casa dell'architetto

venerdì 4 maggio 2012

Lettera dal Brasile n.4


Nell’ipotesi che le curve di Niemeyer si ispirino alle colline e alla baia di Rio de Janeiro, per quanto affascinanti e seduttive, non riescono a raggiungere la bellezza della città carioca.
Questa occupa il margine occidentale della baia di Guanabara, sviluppandosi per un lungo tratto di costa, della quale, a noi europei, sono ben noti i nomi delle spiagge di Copacabana e di Ipanema. 


La città è in parte delimitata dal mare ad est e dalle colline ad ovest; tenta, alle volte, di colonizzarle – ne è un esempio il grazioso bairro di Santa Teresa -, ma si ha sempre l’impressione che la natura sia più forte, per quanto alti o grandi si possano costruire gli edifici.
 








Dove non arrivano questi, arrivano però le favelas: si inerpicano sui promontori della città, continuando a sorprendere noi turisti.

Arrivando a Rio de Janeiro via terra non si ha modo di percepire lo spettacolo grandioso della baia, ma dalla cima del Corcovado, per l’immancabile foto col Cristo Redentor, la città si presenta in tutta la sua bellezza.
Da lì, non si può non restare impressionati dalla stretta commistione tra acqua, vegetazione, edifici e favelas.
Si ha una visuale a 360°: si distinguono immediatamente i barrios di Ipanema e Leblon, delimitati dal mare e dal lago Rodrigo de Freitas, e la spiaggia di Copacabana, con i suoi alti edifici. 


Ancora, volgendo lo sguardo verso nord si distingue la praia di Botafogo e di Flamengo. Qui, passeggiando nei giardini disegnati da Burle Marx e, superato il Memorial ai caduti della seconda querra mondiale, si giunge al Museo d’Arte Moderna di Affonso Reidy: architettura paulista nella città carioca.
Affonso Eduardo Reidy, MAM - Museo d'Arte Moderna
Affonso Eduardo Reidy, MAM - Museo d'Arte Moderna

























Sempre dall’alto, è possibile riconoscere il Ministério da Educação e Saúde di Costa, Niemeyer, Reidy ed altri architetti: lecorbuseriano, carioca, razionalista? No, paulista secondo Mendes da Rocha.

Lucio Costa, Affonso Eduardo Reidy, Carlos Leão, Jorge Moreira, Ernani Vasconcellos, Oscar Niemeyer, Ministério da Educação e Saúde


Nonostante le nubi, si distingue il celebre stadio Maracanã e il ponte Rio - Niterói, che collega parti opposte della baia.







E’ però sempre la natura, bella e selvaggia, ad offrire lo spettacolo più coinvolgente: il Pão da Açúcar ne è il protagonista indiscusso, ha la fierezza e la compostezza del grande attore di teatro.

Purtroppo non si può avere sempre il sole, così la pioggia non è mancata. Percorrendo il quartiere di Lapa, in cerca di un bar dove riparaci, alla fine di rua Teotônio Regadas, alziamo gli occhi e i colori della scala di azulejos di Jorge Selarón non riportano il sole, ma certamente il sorriso.

lunedì 16 aprile 2012

Lettera dal Brasile n. 3


“Digo aos jovens arquitetos: tenham a sensibilidade de fazer com que seus edifícios tenham alguma coisa a dizer”, diceva Artigas.

La sua FAU, venerdì, diceva molte cose. Parlava di architettura, di arte, ma soprattutto del lavorare insieme per creare entrambe.
Venerdì pomeriggio, nella Facoltà di Architettura della USP, si potevano vedere gli studenti correre da una parte all’altra dell’edificio con pile di cartoni da montare e disporre per creare un’installazione artistica. Era un gioco.
Divisi in gruppi, occupavano lo espaço Caramelo: da quando sono arrivata non è mai stato così bello. Era vivo.


Sabato pomeriggio. 
Nel centro di São Paulo, in Praça da República, non c’è molta gente. Alcuni sono nei botecos, altri guardano distratti le bancarelle della piazza.
Imbocco l’Avenida Ipiranga, l’edificio Italia svetta su tutti gli altri.
Superato, un po’ nascosto, si intravede l’edificio Copan di Oscar Niemeyer: la curva carioca nel cuore dell’architettura moderna paulista.
Dall’altra parte della strada, mi fermo velocemente ad ammirare l’edificio Renata Sampaio Ferreira, progettato da Oswaldo Bratke nel 1956.

Imbocco Rua Major Sertório, per poi svoltare in Rua Bento Freira e raggiungere la sede dello IAB, Instituto de Arquitetos do Brasil. L’edificio fa angolo con Rua General Jardim; dalla piccola, ma fornita, libreria di architettura si può vedere l’ingresso della Escola da Cidade.

Alzo gli occhi per guardare lo IAB e resto colpita dai disegni sul vetro; seppur fatiscente, l’edificio mi sembra bello, ancora non so che è stato progettato da Rino Levi, Jacob Ruchti, Galiano Ciampaglia, Helio Duarte, Zenon Lotufo, Abelardo de Souza, Roberto Cerqueira Cezar e Miguel Forte Neto.

Vi accedo da un piccolo ingresso, percorro la scala – dove gli studenti della Escola da Cidade stanno appendendo i disegni dell’edificio – ed entro nella sala di modesta ampiezza: il pilastro rivestito in mosaico e la parete in mattoni tinteggiata di bianco catturano la mia attenzione.
Alzo nuovamente gli occhi: un Calder libra nell’aria.
Salgo sul ballatoio: le sedie sono quelle disegnate da Mies Van der Rohe.
Esco sui balconi: l’edificio mi sembra sempre più bello.

Saluto il presidente dello IAB, già conosciuto alla FAU; mi presento a Milton Braga per parlargli della mia ricerca; assisto all’incontro.
Dopo, tutti si riversano nei bar della rua, la cerveja è accompagnata dal concerto davanti alla Escola da Cidade.
Entro in un bar, davanti a me Paulo Mendes da Rocha. Lo saluto, ricordandogli il nostro primo incontro. E’ cordiale e simpatico. Mi dice di chiamarlo in settimana: oggi è festa.

domenica 8 aprile 2012

Lettera dal Brasile n.2


Nonostante Salvador (São Salvador da Bahia de Todos os Santos) sia una metropoli – conta infatti quasi tre milioni di abitanti – la città vecchia, il Pelourinho, patrimonio dell’Unesco dal 1985, consente di comprendere e immaginare la bellezza dell’antica capitale brasiliana.

Qui non si può non essere di buon umore: le strade di modesta ampiezza sono costeggiate da palazzi del XVII – XVIII sec., tinteggiati con colori pastello; l’architettura, i sorrisi dei bahiani e l’azzurro del cielo mettono allegria e gioia.
Ci sono purtroppo ancora molte zone - sempre nella città alta - non restaurate e in stato d’abbandono: sono individuabili dall’alto, da Largo do Pelourinho, o arrivando dalla città bassa.
Se a San Paolo si ha sempre l’impressione che la città sia costituita da tante realtà differenti, a Salvador, nello stato di Bahia, si ha immediatamente la percezione di essere in un Brasile diverso: è l’afro-brasiliano nord – est.

O Brasil não è só Ocidente, è também África e Oriente (Lina Bo Bardi)

Il nord del Brasile è la parte più povera del paese e le difficoltà economiche sono immediatamente visibili.
Uscendo da Salvador, per raggiungere le spiagge a nord della città, si passa davanti a favelas enormi, delle quali non si vede la fine, e a villaggi, intorno ai quali c’è poco o nulla.
Le spiagge sono però splendide: lunghe e di sabbia finissima sono protette da palme e vegetazione tropicale; al tramonto si assiste al rientro dei pescatori e la bassa marea consente di godere di uno spettacolo suggestivo.

La vita sembra scorrere lentamente: è il ritmo del nord – est.








Lasciando la baia di Salvador, la città, dal mare, è un susseguirsi di alti edifici, ma, quando la città svanisce, all’orizzonte è possibile vedere la vegetazione spontanea delle isole vicine.
Nonostante alcune, per la loro bellezza, siano molto turistiche, non si può non restarne affascinati.
Si ha però l’impressione che quei luoghi, dai vialetti e le pousadas ben curate, i negozi e i bar, a servizio dei turisti, siano solo la facciata e nascondano altro, che a noi non è dato vedere.
Se ne può avere un’idea rinunciando ad un ritorno a Salvador da turista, ma percorrendo le loro strade, prendendo i loro mezzi, barche e autobus, dei quali non si sanno orari di arrivo e di partenza: sono i viaggi più belli.



giovedì 29 marzo 2012

Lettera dal Brasile n.1




Alla domanda di un giovane paulistano su quale fosse stato il mio “shock cultural” arrivata in Brasile, la prima risposta è stata “a natureza!”, la natura.
Uscendo dall’aeroporto internazionale di Guarulhos, ci si trova immediatamente di fronte ad una vegetazione rigogliosa e fitta: si comprende subito di essere altrove, non più in Europa.
Nonostante São Paulo sia una megalopoli, la natura continua a sorprendermi ogni giorno. In un documentario, un artista di Salvador, parlando del Brasile, diceva che qui, se stai fermo, la natura ti assale.
La sensazione, in effetti, è questa.

I pochi resti di Mata Atlântica presenti ancora nella città, come il parco del Trianon o una vasta area nel campus della Universidade de São Paulo, danno un’idea di ciò che doveva essere il paesaggio, prima che l’edificazione selvaggia distruggesse quasi tutto.
La Cidade Universitaria della USP sorge sul terreno, vastissimo, di un’antica fazenda; nonostante la grande quantità di edifici accademici presenti, la vegetazione ne occupa parti estese, rendendo il campus un luogo piacevole e allegro, pieno di piante e fiori tropicali.

Purtroppo, al di fuori di esso e in gran parte della città, lo scenario cambia totalmente.
San Paolo sembra essere stata edificata senza un criterio d’insieme: la pianificazione ha interessato delle zone, trascurandone altre. Si assiste così ad una continua alternanza tra parti compiute ed incompiute, quest’ultime, apparentemente provvisorie, sono in realtà consolidate da anni.
Lo stesso vale per le favelas. Ad esclusione delle zone centrali, è possibile vederle ovunque; sono tante, variano per dimensione ed estensione, ma fanno parte del tessuto urbano, più di quanto si possa immaginare.
Nel mio primo giorno al campus della USP, mi sono stati mostrati i luoghi che bisogna conoscere: dove bere un buon caffè brasiliano, dove mangiare il pão de queijo, dove bere una cerveja, magari al chiosco di donna Eva.
Questo luogo mi ha colpito: rappresenta il confine tra due realtà lontane e diverse, ma che qui convivono, apparentemente, in pace. Il bar si trova, infatti, in uno dei punti in cui finisce il campus ed inizia la favela São Remo.  

Avvicinandosi al centro, la città cambia ulteriormente, ma l’edificazione sembra sempre incontrollata. Si trovano grattacieli - come nell’Avenida Paulista - o edifici di dimensioni ridotte, privi però di stile architettonico.
Nel centro storico - praça da Repubblica, rua 7 de April, largo São Francisco, rua São Bento – è possibile ancora trovare qualche edificio di pregio, purtroppo mal conservato.
La città non sembra avere il culto, o per lo meno, la coscienza, del bene storico – artistico. 
Tale coscienza è venuta meno anche nel MASP, dove il progetto della Bo Bardi è stato completamente alterato e modificato, in nome, probabilmente, della funzionalità e della uniformità ad uno stile museale ampiamente consolidato.
Con dispiacere ho constatato che la grande pinacoteca, così come l’aveva progettata l’architetto, non esiste più. Non ci sono più i quadri esposti in sequenza su cavalletti in vetro e cemento, non è più possibile, dall’interno, osservare la città attraverso le vetrate continue.
Nonostante le modifiche fatte, la forza dell’edificio è immutabile ed il vão livre, alla quota dell’Avenida Paulista, non può che sorprendere e affascinare lo spettatore.

Sorpresa ed emozione si provano anche nell’arrivare a praça do Patriarca, per via della bellissima copertura progettata da Paulo Mendes da Rocha: questa sembra librarsi in aria, come una tela leggera.
E’ la porta che ti invita ad entrare nel centro storico della città.

Ognuno di questi luoghi è attraversato quotidianamente da centinaia di persone: la città appare sempre in continuo movimento, non riposa mai.
São Paolo è una città complessa, piena di contraddizioni e di realtà differenti; nonostante questo, i paulistani sono allegri, socievoli ed ospitali, non deludendo così le aspettative di un’europea.