Alla domanda di un giovane paulistano su quale fosse stato il mio “shock cultural” arrivata in Brasile, la prima
risposta è stata “a natureza!”, la
natura.
Uscendo dall’aeroporto internazionale di Guarulhos, ci si trova
immediatamente di fronte ad una vegetazione rigogliosa e fitta: si comprende subito
di essere altrove, non più in Europa.
Nonostante São Paulo sia una megalopoli, la natura continua a
sorprendermi ogni giorno. In un documentario, un artista di Salvador, parlando
del Brasile, diceva che qui, se stai fermo, la natura ti assale.
La sensazione, in effetti, è questa.
I pochi resti di Mata Atlântica presenti ancora nella città, come
il parco del Trianon o una vasta area
nel campus della Universidade de São
Paulo, danno un’idea di ciò che doveva essere il paesaggio, prima che l’edificazione
selvaggia distruggesse quasi tutto.
La Cidade Universitaria
della USP sorge sul terreno, vastissimo, di un’antica fazenda; nonostante la grande quantità di edifici accademici
presenti, la vegetazione ne occupa parti estese, rendendo il campus un luogo
piacevole e allegro, pieno di piante e fiori tropicali.
Purtroppo, al di fuori di esso e in gran parte della città, lo
scenario cambia totalmente.
San Paolo sembra essere stata edificata senza un criterio d’insieme:
la pianificazione ha interessato delle zone, trascurandone altre. Si assiste così
ad una continua alternanza tra parti compiute ed incompiute, quest’ultime,
apparentemente provvisorie, sono in realtà consolidate da anni.
Lo stesso vale per le favelas.
Ad esclusione delle zone centrali, è possibile vederle ovunque; sono tante,
variano per dimensione ed estensione, ma fanno parte del tessuto urbano, più di
quanto si possa immaginare.
Nel mio primo giorno al campus della USP, mi sono stati mostrati i
luoghi che bisogna conoscere: dove bere un buon caffè brasiliano, dove mangiare
il pão de queijo, dove bere una cerveja, magari al chiosco di donna Eva.
Questo luogo mi ha colpito: rappresenta il confine tra due realtà lontane
e diverse, ma che qui convivono, apparentemente, in pace. Il bar si trova,
infatti, in uno dei punti in cui finisce il campus ed inizia la favela São Remo.
Avvicinandosi al centro, la città cambia ulteriormente, ma
l’edificazione sembra sempre incontrollata. Si trovano grattacieli - come
nell’Avenida Paulista - o edifici di dimensioni ridotte, privi però di
stile architettonico.
Nel centro storico - praça da Repubblica, rua 7 de April, largo São
Francisco, rua São Bento – è possibile ancora trovare qualche edificio di
pregio, purtroppo mal conservato.
La città non sembra avere il culto, o per lo meno, la coscienza, del
bene storico – artistico.
Tale coscienza è venuta meno anche nel MASP, dove il
progetto della Bo Bardi è stato completamente alterato e modificato, in nome,
probabilmente, della funzionalità e della uniformità ad uno stile museale
ampiamente consolidato.
Con dispiacere ho constatato che la grande pinacoteca, così come
l’aveva progettata l’architetto, non esiste più. Non ci sono più i quadri
esposti in sequenza su cavalletti in vetro e cemento, non è più possibile,
dall’interno, osservare la città attraverso le vetrate continue.
Nonostante le modifiche fatte, la forza dell’edificio è immutabile ed
il vão livre, alla quota dell’Avenida
Paulista, non può che sorprendere e affascinare lo spettatore.
Sorpresa ed emozione si provano anche nell’arrivare a praça do Patriarca, per via della
bellissima copertura progettata da Paulo Mendes da Rocha: questa sembra
librarsi in aria, come una tela leggera.
E’ la porta che ti invita ad entrare nel centro storico della città.
Ognuno di questi luoghi è attraversato quotidianamente da centinaia di
persone: la città appare sempre in continuo movimento, non riposa mai.
São Paolo è una città complessa, piena di contraddizioni e di realtà
differenti; nonostante questo, i paulistani sono allegri, socievoli ed
ospitali, non deludendo così le aspettative di un’europea.